Molti degli attuali importatori, soprattutto nei mercati più evoluti e maturi, come il Nord America, non sono più adeguati per i fabbisogni di molte aziende del vino italiane, a partire da quelle medio-piccole, al punto che probabilmente è arrivato il tempo di ipotizzare anche per realtà più piccole la costruzione di società proprie in determinati mercati
Si tratta di un argomento delicato e, come sempre, non abbiamo la pretesa di garantire dati statistici al riguardo, quindi ci limitiamo al nostro osservatorio sia di aziende vitivinicole che di società di importazione. La sensazione è che ormai vi sia un distacco molto ampio tra i fabbisogni di esportazione delle nostre aziende, la loro necessità di costruire brand riconoscibili e autorevoli sui mercati internazionali e gli attuali mezzi di molte delle società di importazione. Società che molto più frequentemente di quanto si possa immaginare sono spesso di dimensioni anche più ridotte delle stesse piccole o medie aziende vitivinicole che oggi rappresentano.
Il tema è molto complesso ma quello che appare sempre più evidente è che i mercati attuali, a partire da quelli più evoluti come il Nord America, abbiano potenzialità di sviluppo superiori ai mezzi attuali delle strutture di importazione. Chiedere a queste strutture oggi di farsi carico di azioni di supporto alla costruzione dei brand, alla loro valorizzazione, ad attività di acculturamento del trade e dei consumatori è quanto mai illusorio. Ma senza azioni di supporto di marketing forte non si può certo immaginare di andare ad amplificare le possibilità del nostro export, soprattutto sul fronte dei valori.
Arriviamo a ipotizzare, e ci rendiamo conto di affermare un qualcosa di molto difficile sia sul piano economico che organizzativo, che anche le piccole-medie aziende del vino italiane che vogliano sviluppare meglio e in maniera più garantita in futuro il loro export, debbano contemplare l’ipotesi di costruirsi un presidio proprio in determinati mercati, a partire dagli Usa.
Qui si apre, e ne scriveremo presto, l’importante capitolo delle reti di impresa come modello per costruire anche presidi per l’importazione di vini in alcuni mercati strategici. Opportunità che consentirebbe importanti economie di scala e probabilmente la costruzione di società composte da aziende complementari tra loro, capaci di dotarsi anche di professionisti locali formati sulle specificità dell’offerta enologica proposta.
Sono ipotesi già al vaglio di alcune aziende italiane che, per ragioni di riservatezza, al momento non possiamo svelare, ma siamo convinti che presto se ne sentirà parlare e anche molto.
Come pure, raccogliendo il parere di numerose piccole e medie società di importazione con le quali abbiamo contatti costanti, molte di esse ci esprimono le loro difficoltà a poter sviluppare quelle azioni di marketing e di promozione richieste da molte aziende italiane da loro rappresentate. Al punto che talvolta, nemmeno le attuali risorse previste nell’ambito dell’ocm vino, di fatto riescono a modificare oltre un certo limite le attività di molte società di importazione.
«Alcune aziende – ci raccontava nei giorni scorsi un importatore americano di una decina di piccole aziende italiane ma di buon prestigio – ci sollecitano di fare molte più azioni di accompagnamento, di marketing, di promozione, dichiarando anche di essere disponibili a finanziarle con i fondi che hanno a disposizione. Purtroppo, però, non sempre capiscono che non è solo un problema di risorse economiche ma di risorse umane. Per noi attivare quello che ci viene chiesto ci costringerebbe ad una profonda modifica della nostra struttura senza avere la garanzia che queste risorse da parte delle aziende possano essere certe per molti anni. Le aziende italiane – concludeva questo importatore – dovrebbero quindi accontentarsi di quello che stiamo facendo per loro».
Ecco la parola chiave, “accontentarsi“. Una parola molto bella per certi aspetti ma in economia non sempre possibile e per certi aspetti rischiosa.
Fabio Piccoli
pubblicato il 14 marzo 2016 in Wine Meridian Weekly