(Testi e ricerche di Gianni Mondelli – 1985)
Nei primi giorni di un agosto caldo e secco, Mario Giannozzi, agronomo in forza alla Cattedra ambulante di agricoltura di Parma, si fermò a Borgotaro, nell’alta collina parmense, per sovrintendere ai lavori in corso nel vigneto di piante madri di vite americana impiantato appena tre mesi prima. Correva il 1924, un anno di grande fervore per la Cattedra, un fervore ancora più grande del solito, perché la fillossera era ormai entrata in profondità nella viticoltura collinare parmense.
Non si era ancora all’emergenza assoluta, si potevano preparare con calma le difese contro questo insetto devastatore; si poteva e si doveva evitare di commettere gli stessi errori che in altre province vicine, colpite molto tempo prima dal contagio fillosserico, erano stati commessi.
Così predicava Antonio Bizzozero, prestigioso direttore della Cattedra ambulante di agricoltura di Parma, dalle pagine dell’Avvenire Agricolo, il tradizionale foglio parmense che proprio in quell’anno aveva ripreso le pubblicazioni dopo la lunga parentesi bellica. Così predicavano i tecnici della Cattedra, in perfetta sintonia, ovviamente, con il loro maestro. Al quale, per natura e temperamento, nonostante i capelli ormai bianchi, non era certo venuta meno la volontà di agire: “Speriamo che nel 1926 il Consorzio antifillosserico provinciale sia in pieno funzionamento. Raccomando agli agricoltori di non precipitare: dall’esperienza degli altri c’è sempre da imparare qualche cosa e poi, non si sa mai, la natura potrebbe venire in nostro aiuto.”
Mario Giannozzi per tutta la primavera e l’estate di quel lontano 1924 si era mosso di continuo da un vivaio all’altro, da un vigneto all’altro, dato che per contrastare la fillossera la Cattedra si era attivata sul serio, dando il via a numerose iniziative: un ‘barbatellaio” con talee americane ritenute non solo le più resistenti alla fillossera, ma anche le “più accreditate e adatte” ai terreni vitati del parmense; alcuni vivai sperimentali per la forzatura di innesti talea; poi, corsi di istruzione professionale per viticoltori; distribuzione sistematica di legno americano e assistenza tecnica continua. Soprattutto, però, vigilanza e ispezioni, là tra i filari di mezza provincia, ovunque vi fosse il terribile sospetto sulla causa del deperimento o della morte di una pianta di vite. A leggere i resoconti sui suoi continui spostamenti e sulla sua presenza ovunque c’è da chiedersi come facesse a moltiplicarsi in quel modo.
Ovviamente Giannozzi non era il solo. Altri tecnici lo imitavano, distribuiti tra le sedi che la Cattedra aveva aperto in provincia. Tra questi Giacomo Calzolari, responsabile della sede di Langhirano. Anche lui era un esperto della vite e del vino, anche lui era impegnato contro la fillossera, dedicandosi ad informare ed istruire gli agricoltori, perennemente polemico e pungente contro i praticoni, i falsi esperti improvvisati, i creduloni ed i diffidenti. Una vera e propria brigata ostile contro la quale si sentiva forse ancora più mobilitato che contro la fillossera.
“E’ noto che nella nostra provincia, durante l’estate scorsa (1923, ndr) per opera del personale della Cattedra e successivamente di un funzionario governativo, sono state scoperte diverse infezioni fillosseriche, preoccupanti non tanto per la loro ampiezza, quanto per la loro ubicazione e per la loro distribuzione. La superficie vitata, accertata invasa dal parassita, infatti misura complessivamente solo una decina di ettari, che è ben poca cosa di fronte ai 1800 ettari di vigneto ed ai 98 mila ettari di seminativo vitato esistente nel territorio parmigiano. Ma vi è da rilevare – constata Giacomo Calzolari – che l’infezione interessa le località che, dal punto di vista viticolo, hanno maggiore importanza e che essa è frazionata in 29 focolari disseminati a varia distanza fra loro su una striscia di terreno che da Panocchia, Torrechiara, Casatico, Felino giunge fino a S.Vitale, e cioè dal torrente Parma al di là dei Baganza ed oltre, fino a Stradella di Collecchio”. Si trattava di una fascia collinare che toccava “centri vinicoli – sono sempre parole dei Calzolari – di discreta rinomanza, i quali traggono dalla coltura della vite le loro maggiori risorse
La fillossera era dunque ormai ben presente anche nel parmense, purtroppo. Era già stata un flagello per l’Europa, per la sua plurimillenaria cultura della vite e del vino; un flagello venuto d’oltre oceano, dal continente “nuovo”, a portare desolazione e rovina tra i vigneti di quello “vecchio”. Si sa che l’intera viticoltura europea ha rischiato davvero di scomparire sul finire dei secolo scorso ed agli inizi di quello attuale. Poi venne finalmente l’idea del piede americano, cioè dell’innesto dei vitigni europei su piante americane anch’esse provenienti, come la fillossera, dal Nuovo Mondo, le cui radici resistevano all’afide: fu proprio l’innesto il rimedio estremo quanto decisivo. È cosi che la vite e la viticoltura europee sono state salvate.
Naturalmente questo grande evento ha richiesto molto tempo, sia per avviarsi che per compiersi. Tutti i viticoltori sanno che la fillossera è arrivata in Europa a metà dell”800, importata dal Nord America, suo ambito originario, insieme ad alcuni esemplari di vite americana aventi peraltro solo valore ornamentale. Giunto in Europa l’insetto non è stato in grado di attaccare il fogliame delle viti, avendo un ciclo biologico incompleto; in compenso la larva, vivendo nel terreno, si è subito dedicata alle vulnerabili radici delle viti europee con effetti devastanti ed irreparabili. Il primo paese colpito è stato l’Inghilterra (1860), poi di seguito il Portogallo (1865), la Francia (1868), la Germania (1875) e infine l’Italia (1878), cominciando dalla Lombardia e da qui all’intero territorio nazionale.
Nel parmense la fillossera arrivò in ritardo rispetto alle altre aree viticole dei nord Italia e dell’Emilia, ma ora sappiamo bene che questo ritardo non è stato affatto un vantaggio, dato che gli effetti devastanti dell’infezione, quando infine ci furono, si sommarono ad altri fattori non meno distruttivi. Comunque negli anni in cui altrove si soffriva e ci si affannava a ricostituire vigneti e filari con nuovi impianti, nel parmense ci si poteva dedicare ancora alla lotta contro peronospera ed annacquatori, i soli veri problemi per la vite e per il vino. Quando, dal 20 al 27 maggio 1900 si tenne a Casalmonferrato l’Esposizione Fillosserica Nazionale, con ben tredici sezioni tutte dedicate a tecniche di prevenzione, lotta, nuovi impianti, innesti e corsi pratici, i viticoltori parmensi la seguirono abbastanza distrattamente, giacché per essi il terribile parassita era ancora un pericolo soltanto potenziale. Non si distrassero invece i tecnici della Cattedra, che proprio in quell’anno avviarono le prime prove con legno americano cominciando ad impiantare i primi vivai, a prepararsi per quando il momento della fillossera sarebbe giunto. E che quel momento ci sarebbe infine stato non v’era il minimo dubbio: “il tristo pidocchio cammina sempre”, scrisse qualche anno dopo uno di loro sulle pagine dell’Avvenire Agricolo. L’espressione è pittoresca, ora fa persino sorridere. Si trattava però di una facile quanto funesta profezia.
La Gazzetta di Parma del 7 luglio 1907 pubblica un breve trafiletto nella pagina della corrispondenza dalla provincia, seminascosto tra colonne di stampa quasi interamente dedicate alla propaganda elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Collecchio. Il titolo è assolutamente scarno e più che eloquente: “La fillossera nel comune di Collecchio”. Si dà la notizia dell’infezione di malavoglia, con un arido comunicato dal tono ufficiale, senza alcun commento o sottolineatura. Tuttavia l’informazione è d’obbligo, perché un decreto di pochi giorni prima applicava a tutto il territorio comunale di Collecchio le disposizioni del testo unico di legge antifillosserico (divieto di esportazione di viti e parti di vite, di terreno, concimi, pali, sostegni, ecc.). Ma assolto quest’obbligo, la riservatezza sul caso è totale ed una cortina di silenzio viene calata attorno all’intervento dei tecnici della Cattedra ambulante di agricoltura di Parma, che subito distruggono il vigneto infetto, fanno terra bruciata tutt’attorno ai filari colpiti dall’infezione.
Solo 17 anni dopo Antonio Bizzozero ammetterà implicitamente che tanta riservatezza era stata un errore: si era infatti persa l’occasione per dare concretezza all’allarme antifillossera, preferendo la consegna del silenzio, confidando troppo nella efficacia dell’intervento effettuato sul primo focolaio scoperto nel parmense, nella presunzione che esso fosse effettivamente l’unico. Ma il “tristo pidocchio” era ormai giunto nella terra parmigiana ed anche se inizialmente rallentata, la sua diffusione sarebbe stata inarrestabile, complice purtroppo la disattenzione degli agricoltori e dei viticoltori. Poi fu Grande Guerra, in Europa e in Italia, e bel altro il nemico da vincere…