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L’Italia del vino che fa fatica a raccontarsi

Gli errori più frequenti delle aziende italiane nella comunicazione dei loro vini e delle loro realtà produttive

Abbiamo in questi giorni finito le degustazioni della seconda edizione della nostra guida “Italian Wines in the World” e della prima edizione di “Sweet Italy” dedicati agli straordinari vini dolci del nostro Paese. Anche quest’anno, realizzare questo prodotto editoriale ci ha obbligato e fortunatamente consentito di analizzare nel dettagli siti aziendali, schede prodotto, etichette frontali, contro etichette, packaging nel loro complesso. Tutti strumenti fondamentali nella comunicazione del vino e delle nostre imprese.

Se dovessimo dare un giudizio complessivo di quello che in estrema sintesi potremmo definire il “contenitore” dei nostri vini purtroppo dobbiamo ammettere che con difficoltà arriviamo alla sufficienza. A quello che una volta veniva definito un “6 striminzito“. E ci si arriva grazie alla media dei voti perché fortunatamente qualche azienda, la netta minoranza sia chiaro, sta lavorando bene su questo fronte e quindi ha consentito un giudizio finale meno drammatico.
Tutto ciò risulta ancor più frustrante e preoccupante se si considera, invece, la straordinaria evoluzione qualitativa (ma ne parleremo più avanti in fase di presentazione ufficiale delle nostre due guide) dei nostri vini, non solo delle denominazioni più note e prestigiose, ma anche quelle che noi definiamo “outsider“. Senza dimenticare, inoltre, le incredibili accelerazioni sul fronte della qualificazione dei prodotti anche da parte di aziende più giovani, che solo recentemente si sono affacciate sull’affascinante ma estremamente competitivo scenario produttivo. Ma se questo è tutto vero come mai non si riesce a fare passi coerenti anche sul fronte della comunicazione, dell’immagine dei vini e delle aziende?

Riteniamo oggi difficilmente giustificabile, ad esempio, che la maggioranza delle aziende del vino del nostro Paese, abbiamo siti impresentabili. E questo nonostante ormai tutte le ricerche più accreditate testimonino come il primo biglietto da visita che, per esempio un importatore, va a valutare è proprio il sito aziendale.
Siti scadenti sia dal punto di vista grafico (ma questo è il meno grave) che dei contenuti (l’aggiornamento continua ad essere una chimera). Come è possibile, ad esempio, che non si racconti un andamento di annata, di una vendemmia. Se i vini presentati sono sempre in versione generica senza riferimento specifico alle annate proposte sul mercato? Che senso ha continuare a mantenere informazioni di un vino (sia dal punto di vista della vinificazione e soprattutto delle caratteristiche gustative) riferite ad un prodotto che probabilmente non è nemmeno più in commercio?
Come si fa a ridurre quasi sempre la descrizione dell’azienda a poche righe ripetitive della serie…”siamo la terza generazione della famiglia Pincopalla che con amore e passione produce vino in questa terra”. Si continua ad abusare del termine “storytelling” (a proposito noi di Wine Meridian abbiamo deciso di non utilizzarlo più) e poi la narrazione non ha nulla di personale ed autentico.

Ma questi sono solo pochi tra i tanti esempi che potremmo fare.
Un’inadeguatezza della comunicazione digitale che diventa ancor più drammatica quando si osservano i cosiddetti packaging. E su questo fronte, prima dell’estetica, vogliamo lanciare una sorta di allarme rispetto al tema dell’annata sulla bottiglia. La gran parte dei vini che abbiamo degustato (oltre 600) ha reso quasi invisibile il riferimento dell’annata. A volte non basta nemmeno la lente di ingrandimento per scovarla. Ma quale è il motivo di tutto ciò? Che senso ha riempire le redazioni di comunicati stampa sull’andamento di una vendemmia e poi non evidenziare bene in etichetta l’annata? Che senso ha continuare a dire l’importanza dell’annata per la caratterizzazione di un vino e poi non enfatizzarla nel luogo più importante e cioè sulla bottiglia?
Dal punto di vista grafico, poi, le etichette continuano ad essere ideate e realizzate in gran parte con una creatività che spesso rasenta lo zero. E come se mancasse un nesso tra contenuto e contenitore. Eppure ormai tutti sanno che il packaging è il primo elemento, il prezzo viene visto successivamente sullo scaffale, per essere presi in considerazione. Ma anche per le produzioni che entrano nel canale dell’horeca un packaging poco coerente con il contenuto è pericoloso e comunque poco efficace.

Se poi ci spostiamo sulle descrizioni delle controetichette il tema si fa ancor più insidioso. Ci rendiamo conto che le leggi, le norme sull’etichettatura, non facilitano certo la comunicazione dei nostri vini (a proposito perché le organizzazioni professionali del vino non fanno una battaglia forte su questo fronte?), ma è altrettanto vero che molti, troppi produttori utilizzano quegli spazi per scrivere cose inutili o senza senso. Scrivere, ad esempio, in una controetichetta che si tratta di un vino prodotto in un territorio propizio con energie vitali positive forse può andare bene ad un consumatore discepolo di religioni “new age“, ma siamo sicuri che rappresenti veramente il target dell’azienda, la sua filosofia produttiva?
Se poi considerate che stiamo parlando della comunicazione dei nostri vini e delle nostre imprese ad un target domestico, provate ad immaginare come questa difficoltà si può tradurre quando la comunicazione deve essere rivolta ad interlocutori internazionali…

Fabio Piccoli
pubblicato il 4 marzo 2016 in Wine Meridian Weekly

Categoria: Comunicazione8 Marzo 2016

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