Probabilmente i vitivinicoltori più anziani non lo hanno dimenticato, solo relegato nell’angolo più remoto della memoria, con l’attributo di “drammatico”. Eppure proprio trent’anni fa (io c’ero e lo ricordo, eccome!), il Vinitaly di Verona, da consueto appuntamento di promettenti calici, etichette incorniciate su trasparenze bianco-rosse, assaggi, contatti speranzosi e/o fruttuosi, accordi commerciali, eccetera, era drammaticamente diventato un arido, sterile deserto, dove il protagonista assoluto, ignobile clandestino e atroce terrorista insinuatosi in italiche cantine, portava il nome sconvolgente di “metanolo”.
Trent’anni sono passati dallo choc anafilattico che colpì nel 1986 il settore vitivinicolo del Belpaese, salvatosi dal tracollo irreversibile sia pure con una lungodegenza sofferta, alla fine risolutoria; sicché con il conforto del tempo, per natura, storia ed esperienza umana, pervicace “galantuomo“, ora il vino del Belpaese è assunto al ruolo onorevole e stimolante di “metafora del futuro d’Italia“, come lo ha recentemente definito il ministro per le politiche agricole e forestali, Maurizio Martina.
In un recente convegno promosso da Coldiretti, l’evoluzione in positivo dell’immagine e del fatturato del vino italiano è emersa in tutta evidenza. Scrive Alessandro Vespa, dalle colonne informatiche di Agro Notizie, « i numeri emersi nel corso dell’incontro dimostrano come la scelta di puntare sulla qualità, nonostante la sua origine infelice, si sia rivelata vincente. Nei trent’anni dallo scandalo, l’export del settore vinicolo è cresciuto del 575%, raggiungendo un valore totale di 5,4 miliardi di euro contro gli 800 milioni del 1986. Su cinque bottiglie di vino che passano un confine nazionale, una è fatta in Italia. E il 66% delle bottiglie di vino esportate dall’Italia sono Docg/Doc o Igt.»
Ed ancora: «Il valore dell’export per il settore, poi, assume maggior rilievo se si prende in considerazione l’andamento del mercato interno, nel quale si assiste ad un dimezzamento dei consumi che passano dai 68 litri annui pro capite del 1986 agli attuali 37. A fronte del consumo minore cresce però la consapevolezza del consumatore, almeno stando alla stima di Coldiretti che vede sul territorio nazionale la presenza di oltre 35 mila sommelier. Negli ultimi trent’anni la produzione italiana di vino si è ridotta del 38%, passando dai 76,8 milioni di etttolitri agli attuali 47,4 milioni. Il calo della produzione è stato accompagnato da una crescente attenzione alla qualità, con il primato dell’Italia in Europa per numero di vini con indicazione geografica (73 DOCG, 332 DOC e 118 IGT). Se nel 1986 la quota di vini DOC e DOCG era pari al 10% della produzione, oggi è pari al 35%, e se si considerano anche i vini IGT, categoria nata dopo il 1986, si arriva al 66%: in altre parole, i due terzi delle bottiglie.»
Quel galantuomo del tempo ancora una volta, insomma, ha avuto ragione e reso giustizia. Con il contributo, ovviamente, delle scelte oculate e meritorie fatte dopo il 1986 dalle autorità di governo, scelte che furono e restano valide ed efficaci, a parte le solite “distorsioni” burocratiche che demotivano le buone cantine; a parte anche la fisiologica miopia di quei vitivinicoltori che vivono solo nel presente, al più contemplando soltanto il passato. E che, per non smentirsi, remano contro.(g.m.)
Articolo “La faccia vincente del vino italiano” di Alessandro Vespa, pubblicato il 3 marzo 2016 in AgroNotizie