Senza una chiara e trasparente evidenziazione delle diverse anime produttive
del vino vi è l’inevitabile rischio di una perdita continua di immagine
e posizionamento del prodotto con l’aumento delle probabilità
che esso diventi una commodities. L’esempio eloquente del Regno Unito
È impressionante come alla fine in un modo o nell’altro quando si discute di vino, della situazione di molte denominazioni, degli andamenti di mercato, in Italia e all’estero, alla fine ci si imbatta sempre nei soliti problemi. E i due principali, potremmo sintetizzare, sono le tensioni sui prezzi e la perdurante ignoranza (nonostante il grande aumento della comunicazione online dedicata al vino) dei consumatori. Un mix micidiale perché di fatto l’uno, l’ignoranza, alimenta l’altro, il basso prezzo.
Ci echeggiano ancora, nonostante siano passati più di due mesi le parole del noto giornalista Robert Joseph, firma autorevole del Meininger’s Wine Business International che al wine2wine di Verona, parlando del mercato del Regno Unito, sottolineava come oggi quasi 600 milioni di bottiglie vengono imbottigliate in UK dalle catene delle grande distribuzione e vendute come private label. La rincorsa al vino sfuso nel Regno Unito da parte delle grandi catene della gdo (da Tesco a Sainsbury), ma anche dei discounts (come Lidl e Aldi) è sempre più serrata. E considerando che queste, come sottolineato da Joseph, veicolano ormai l’85% delle vendite di vino in questo Paese, si capisce bene in quali mani oggi è la reputazione e il posizionamento del vino in uno dei mercati più importanti al mondo.
Considerando che il prezzo medio di un vino in un supermarket del Regno Unito oggi è di circa 5,25 sterline (circa 7,5 euro), stiamo parlando di un prodotto, dedotte tutte le tasse e i margini della distribuzione, che ha un prezzo medio ex cellar che difficilmente raggiunge 1 euro.
Una grande distribuzione, ha spiegato Joseph, che praticamente in meno di 25 anni si è “mangiata” piccole catene storiche nella vendita di vino come Oddbins, Thresher, Bottoms Up, Peter Dominic, Wine Rack, Unwins, Majestic che rappresentavano circa 3.000 “negozi di strada” che oggi non ci sono più.
Se a questo si aggiunge, secondo i dati di Wine Intelligence, che attualmente i cosiddetti “esperti di vino” nel Regno Unito sono tra i 10 e il 20% dei consumatori di vino, si capisce bene il potere che hanno poche catene sull’immagine di questo prodotto.
E’ solo uno dei tanti esempi per evidenziare come non si può lasciare al mercato (in senso generale) decidere della reputazione dei nostri vini. Ci rendiamo conto che il tema è complesso ma proprio per questo non si può allentare la presa e non trovare tutte le soluzioni migliori, almeno per aumentare la conoscenza dei consumatori che al momento, visto lo strapotere della distribuzione moderna a livello mondiale, appare la soluzione più adeguata per non trovarsi presto il vino alla stregua di una commodities (alcune categorie già lo sono).
E la cosa più importante da far capire ai consumatori è la diversificazione delle strutture produttive, che non significa fare l’azione manichea di divisione tra “vini buoni” e “vini cattivi“, ma di esaltare in maniera chiara e trasparente l’artigiano dall’industriale. Azione che, per esempio, nella moda avviene quotidianamente, certo anche in questo comparto non con semplicità, ma anche le grandi griffe più industriali hanno capito l’importanza che sia il vertice qualitativo (che ripetiamo non significa il più bello o il più buono) a tirare verso l’alto tutta la filiera produttiva. Pensare che la spinta venga dal basso è un’illusione pericolosa.
Per questo, l’avevamo già evidenziato qualche settimana fa ricordando l’importante endorsment fatto da Jancis Robinson al vino italiano, pensiamo che sia tempo che i grandi artigiani del vino del nostro Paese organizzino a Londra una serie di eventi, più tanti saranno meglio è, per raccontare queste diversità.
È solo l’inizio, ovviamente, ma senza una metodica azione di evidenziazione delle differenze non è difficile prevedere evoluzioni negative per il nostro vino che, ricordiamo, è in gran parte (quasi al 90%) rappresentato da piccole (spesso micro) o medie realtà produttive ad alto valore identitario (ma anche ad alti costi di produzione).
Fabio Piccoli
pubblicato il 19 febbraio 2016 in Wine Meridian Weekly