Quando, nel lontano ’82, scelsi e proposi il logo con il volto del Sileno del Boudard al Consorzio di tutela dei Vini dei Colli di Parma, commisi un grossolano errore: mi limitai infatti a presentare il bozzetto, trascurando il dettaglio sul motivo della scelta. Il bozzetto fu approvato e divenne il simbolo dei vini Colli di Parma, ma ora, a distanza di tanto tempo, mi sono reso conto della gravità dell’errore di cui sopra. Perché per oltre trent’anni è stato ignorato il fatto che solo il Consorzio di Parma, tra gli innumerevoli colleghi della penisola, poteva fregiarsi di un simbolo storicamente e concettualmente tanto prestigioso e consono.
Riassumo: il ‘700 parmigiano è stato in gran parte miracolato dall’illuminismo francese, talmente energico e vivace da arricchire l’antica città medioevale, già urbanisticamente riconfigurata a città barocca dall’ambizione e dalla logica politica dei Farnese; arricchita da quel tessuto urbano che fece della piccola capitale del ducato una petit capital, la Piccola Atene d’Italia, ricca di opere monumentali e di boulevard, non di semplici viali alberati; talmente collegata alla cultura francese da potersi permettere come sponsor uno Stendhal e persino la moglie di Napoleone Bonaparte.
Ecco. Quando nel lontano ’82 scartai gli stereotipi per me già allora logori e abusati (Verdi, Maria Luigia, Toscanini, ecc.) ed i simboli monumentali dell’epoca medioevale (duomo, battistero, ecc.), per significare il vissuto storico della città e la sua indubitabile vivacità culturale, non ebbi alcun dubbio: scelsi i lumi dell’illuminismo, quelli proiettati sul ducato da Luisa Elisabetta, figlia primogenita di Luigi XV re di Francia, dai suoi prediletti Du Tillot, Condillac, Petitot, Boudard, Millot, ecc..
E poiché il riferimento nobile del vino nel mondo è storicamente sempre stato il Vin de France, sul volto illuministico e bonariamente mascalzone del Sileno boudardiano, personaggio mitologico celebrato da Virgilio in poi fino al nostro Carlo Innocenzo Frugoni, seduttore abitudinario anche in età anziana, nonché filosofo arguto del buon vivere suggeritogli dal nettare del dio Bacco, suo figlioccio, non ebbi dubbi; incalzato anche dalla definizione che dell’illuminismo diede quel grande filosofo conosciuto da pochi, ma di cui quasi tutti hanno sentito parlare, Immanuel Kant:
«Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo.»
Solo in anni successivi appresi dei Caumont Cami e dei Brian, francesi di Felino con i loro vini ottocenteschi di Felino anch’essi, vini superbi e premiati dalla fama internazionale. Mi fecero capire che, a parte l’errore di cui sopra, in fondo la mia scelta del logo illuminista per simboleggiare i vini dei Colli di Parma non era poi stata né pellegrina né presuntuosa. Purché ovviamente la si conosca e, soprattutto, si sappia farla conoscere.
(g.m.)